Barrafranca - Fuga in Egitto 

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Fuga in Egitto

Testo sacro composto dall'Abate Giuseppe Nicolò Baldassare Russo

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1° UFFICIALE
Un senso di pietade, inopportuno e vano,
Volete che disarmi, Duci, la nostra mano
Dall'innoccente sangue che per versar ne manda
Erode, inesorabile in quelo che comanda !

2° UFFICIALE
Ma il cuore, o Dio, ripugna ; invano io cerco un empio
Che offrisse nella storia un sì crudele esempio ;
Politica, pietade, permette in un momento
Recider delo Stato, la speme, il fondamento ?
Immolar tante vittime degli anni in sul mattino
Quai fiori nati appena e morti in un giardino
Perché cotanto sangue ? Forse lo stuolo imbelle,
Nemico é del Sovrano, nemico é d'Israelle ?

1°UFFICIALE
Tre magi, non é guari, dai loro regni Eoi
Guidati da una Stella, giunsero fino a noi
Per adorare un nuovo RE nato tra Giudei
Con oro e con prodotti degli alberi Sabei.
Pien di sospetto Erode, dissimula il timore
e finge che desidera prestar lo stesso onore
A questo RE di Giuda, già nato nuovamente,
Mentre la sua rovina, egli ravvolge in mente:
E per saper dei Magi il loco dove sia
Li prega di tornare per la medesma via.
I Magi, o concepissero l'occulto suo disegno
O gl' ispirasse il cielo di cui seguiamo il segno
Prendon diversa strada lasciando il RE deluso
In preda ai suoi sospetti fra i suoi timor confuso.
In quei momenti origine ebbe il fatale editto
Per cui barbaramente, l'eccidio vien prescritto
Dei figli di Betlemme, la cui tenera etade
Non giunse a un doppio inverno, o a una doppia estade ;
Editto generale e senza eccezione,
Per unità di figli, stato e condizione.
Editto che permette il sanguinoso scempio
Fin nella Reggia stessa nel sacrosanto tempio.
E noi ministri semplici, con potrem la sorte
Cambiar di tante vittime da irreparabil morte ?

3° UFFICIALE
Ma sarà ver che, estinta in quell'anima dura,
Non faccia la sua voce sentir più la natura ?
Al non visto spettacolo di pietà, di spavento,
Quando con occhi molli, sparse le chiome al vento,
Il petto percuotendosi, tutta Gerusalemme,
Assordan d'ululati le madri di Betlemme,
Fra l'orror, fra la pena del cittadino stuolo
Non sente orror, non sente pietade, Erode solo ?

2° UFFICIALE
Che orrore, che pietade ! son nomi ignoti a lui,
Cominciasi la strage, anzi sugli occhi suoi !
Il sangue a rivi sparso, inonda il regio trono,
Rimbomba per la Reggia un indistinto suono
Dagli urli delle madri e dal vagir dei figli,
Da grida militari, dai popolar bisbigli;
Si osservano confusi e manigoldi arditi
Dall'unghie delle madri dai denti lor feriti,
E donne, altre giacenti prive di sentimento
Altre con i carnefici a disugual cimento
E miseri bambini, altre nell'ore estreme
Che mandan per la gola e latte e sangue insieme,
Altri che in pianto rompono per violento affetto,
avvinti dalle madri con strana forza al petto
Onde con maggior forza contraria ed importuna
Ne strappa una masnada d'ogni pietà digiuna,
Fuggon, coperti il viso, i cittadin le mura
Odiose a tutti gli uomini, odiose ala natura !
E negli antri più oscuri, nelle rimote selve
Umanità maggiore ricercan fra le belve.
Tanto può dunque in noi valer la passione ?

1° UFFICIALE
Di che non é capace la cieca ambizione ?
Benché straniero il Re, le profezie sa bene
Per cui nuovo monarca a noi promesso viene
Dall'altra di Davidde progenie discendente
Onde ne vuole estinta la razza interamente.

3° UFFICIALE
Ma il Re cui tanto teme, a noi vaticinato
Non é il Messia del mondo, il Salvator bramato ?

1° UFFICIALE
A un vil desio di regno tutto rinunzia e cede.

2° UFFICIALE
Ma quamdo ai vati estesi Erode presta fede
Il regno del Messia esser non dee terreno.

1° UFFICIALE
Per troppa ambizione, questi non crede appieno
Ma per la selva inospite io veggo una donzella
Con pargoletto, in braccia, quanto é modesta e bella
La scorta un vecchio grave, che fra le balze e i sassi
Può trascinare appena i mal sicuri passi.
Dall'alto suo contegno par che ravvolga in mente
Dal generale eccidio sottrar quell' innoccente....
Olà ! ministri, eseguasi il sanguinoso incarco.
É inutile l'aprire alla pietade il varco !

ANGELO
Deh ! fermate la barbara mano
Troppo ancora quel giorno é lontano
Che immolato l'agnello sarà.

 1° UFFICIALE
Deh ! fermate la barbara mano
Troppo ancora quel giorno é lontano
Che immolato l'agnello sarà.
Di quel mistero arcano apportator tu sei
Che d'improvviso appari ostando i cenni miei ?

ANGELO
Quel che in fasce ravvolto mirate
Pellegrino per erme contrade,
Circondato da ria povertà,
É del tutto il fattore superno
Il possente, l'immenso, l'eterno,
Che redimere il mondo dovrà.
La donzela é la via verginella
Maria, madre del nato Messia,
Che il Signore di grazie colmò.
Quello a lato é Giuseppe beato,
L' amoroso tutore, lo sposo
Che alla vergine Dio destinò.
In Egitto per lungo cammino,
Io li scorto, Ministro divino,
Fuggitivi di un barbaro re.
Ché nei fasti di un regno infedele,
Ove fu faraone crudele,
Di un Erode l'esempio non é.

 1° UFFICIALE
Dunque colui che a un cenno trasse dal nulla il mondo,
Che tutto del creato regge e sostiene il pondo;
L'arbitro della sorte che fa come gli piace,
Dona e ripiglia i regni, dispensa guerra e pace,
Che tiene in mano i fulmini, va sulle vie dei venti,
Il Messia dei profeti, il voto delle genti,
Di nostre colpe onusto, cinto di umano velo
Povero, fuggitivo, esposto al freddo e al gelo
Veggon gli occhi miei ? Perdona o mio Signore,
I falli che t'umiliano , d'un cieco peccatore;
Deh! non mirar ti prego i miei passati tempi.
Della pietade usata rinnova in me gli esempi!
Vergine tu di Dio, sposa, figliola e madre,
E tu, gran Patriarca, suo reputato padre,
Per me pregate il figlio, offrite a Lui le pene
Che per si caro pegno soffrir già vi conviene,
E che sperar non lice dal cielo ai peccatori
Avendo favorevoli si grandi intercessori?

3° UFFICIALE
Un Dio, per se beato, di cui la gloria é solo,
Si veste del mio frale, discende in questo suolo !
Quanto il peccato é grave ed abborribil quanto
Se Dio per espiarlo deve costar cotanto ?
Ma un Dio che sulla terra dispone di ogni impero
Che comparir potrebbe Signor del mondo intero,
Sceglie per se nel mondo, dal nascere una vita
Laboriosa, povera, scura ed avvilita.
E del suo stato povero e dai suoi giorni amari
Fa parte ai suoi parenti, che sono i suoi più cari;
Egli che regge il mondo, Sovrano indipendente
A due persone povere si mostra ubbidiente.
Maestro ancor bambino - Oh ! quante lezioni
Negli altri tuoi misteri, nel tuo silenzio doni !
Di fuggire il peccato, del tuo patir cagione,
Di odiar le ricchezze, il fasto, l'ambizione;
Di amar la povertade, l'angustie, i patimenti,
Di riverire i prenci, i capi ed i parenti !
Quanto della mia vita diverso fu il tenore
Ma privo d' ogni lume stato son io Signore !
Sono una nave fragile cui degli affetti il vento,
Nel mar di questa vita condusse a suo talento;
In quanti occulti scogli urtai d'occasione !
Solo al governo infido presiede la ragione.
L'onde d'intorno fremono, di sopra il ciel s'imbruna
E cela ogni altra guida; e mentre, alla fortuna,
Erro per alto mare, senza sperar più porto
E temo di restare ognor fra l'onde assorto !
Salva, Signore, il legno siimi tu il mio nocchiero.
Fra i nembi e le procelle, Maria benigna Stella,
Guida tu per la dubbia sdrucita navicella.
Vecchio la cui giustizia, la castità, l'amore
Ti sollevaro al colmo di non mortale onore
Oggi te pure invoco nel mio fatal periglio
Insieme con la vergine, insieme con il figlio.
Se voi mi soccorrete, l'ondoso regno io sfido
Son certo d'afferrare il fuggitivo lido,
É allora, l'alma libera dal suo corporeo velo,
Siccome or su la terra, godrò con voi nel cielo.

2° UFFICIALE
Quanto sei buon con l'uomo ed amoroso, o Dio,
Che soffri e t'avvilisci così per amor mio;
Per un che corrispose ingrato a tanto amore
E per le vie smarrissi di voluttà, d'errore.
Si mio Signor, pur troppo da te mi discostai
Sento dei falli il peso, conosco quanto errai,
Ma che, tu promettesti perdono a un cor pentito,
Io sono ai piedi tuoi confuso ed avvilito.
Ingrato, sconoscente, ma figlio tuo pur sono
Mi negherai pietade ? Mi negherai perdono ?
Pastor che al veerde prato conduce cento agnelle,
Se dal contar s'accorge una mancarne in quelle,
Sollecito si parte, lasciando il caro armento,
In cerca della sola che manca fra le cento.
Tutta trascorre intorno la selva e la campagna,
Non cura s'egli suda, non cura se si bagna.
L'occhio per tutto spia, lorecchio attento ascolta,
Ma già belar la sente là tra le spine avvolta,
Nella spinosa siepe s'intrica il pastorello
Si punge ma pur scioglie dell'agnellina il vello.
La bacia e se ne torna con quella su le spalle
Per la scoscesa rupe per la profonda valle;
E giunto al chiuso ovile, malgrado tante pene, 
Scioglie l'allegro il canto al suon di dolce avene.
Signor, che sei rammentati il mio divin pastore;
Io la smarrita pecora che dall'armento é fuori:
La guida tua fedele, l'armento tuo lasciai,
Nell'ambito dei falli da me m'inviluppai.
Cercai me stesso sciogliere, ma il mio tentar fu vano
Mentre da te Signore, mi ritrovai lontano.
E tu mi cerchi intanto, stanchi, t'affligi e in questa
Mi vieni a ritrovare inospite foresta.
Mira di sangue aspersa la tua diletta agnella,
Tale la rese il fallo che più non sembra quella;
Di me pietade prenditi, rendimi al caro gregge,
Sotto la mia custodia della tua santa legge.
Ma in segno di consenso il bambinel già ride,
Maria col santo sposo al suo consenso arride,
Alzo la voce adunque, con gioia ed armonia
Evviva S.Giuseppe
                                   Viva Gesù e Maria.

TUTTI E TRE GLI UFFICIALI GRIDANO:
Evviva S.Giuseppe,  Viva Gesù e Maria.
Evviva S.Giuseppe,  Viva Gesù e Maria.
Evviva S.Giuseppe,  Viva Gesù e Maria.

ANGELO
Evviva il verbo evviva
Maria che l'ebbe in seno
E di Maria non meno
Viva Giuseppe ancor.
Se dopo il fallo antico
Il Dio delle vendette
Armato di saette
Nemico fu sin'or;
Scotea l'uman pensiero
Inutilmente i vanni,
Avvolto negli inganni
Nell'ombre e negli error?
Ma già spuntò del Vero
Sull'orizzonte il sole,
E come nebbia suiole
Si disssipò l'error.
Evviva il verbo evviva
Maria che l'ebbe in seno
E di Maria non meno
Viva Giuseppe ancor.
Alfine il cielo amico
Placò l'usato sdegno,
Ecco di pace in pegno
Venuto il Salvator.
Evviva il verbo evviva
Maria che l'ebbe in seno
E di Maria non meno
Viva Giuseppe ancor.
Chiuse le vie del Cielo
Per sempre avea la morte,
Languir fra le ritorte
l'uomo dovea ognor.
Ma sotto umano velo
Cambia il destino eterno,
Espugna morte inferno
Il Verbo vincitor.
Evviva il verbo evviva
Maria che l'ebbe in seno
E di Maria non meno
Viva Giuseppe ancor.

DURANTE IL PRANZO
Su cantiamo in dolce suono
Il custode del Messia
L' almo sposo di Maria
Non si cessi di lodar.
Dalla man del fabbro eterno,
Pria che uscisse alcuna cosa,
San Giuseppe con la sposa
Dall'eterno Iddio guardò.
E d'Isacco il dolce core
Ma né quello a tanto onore
Né pur questi destinò.
D'un Giacobbe la pazienza,
Guardò pur la castitade
Di colui che lunga etade
Nell'Egitto governò.
Su cantiamo in dolce suono
Il custode del Messia,
L' almo sposo di Maria
Non si cessi di lodar.
    
 

Webmaster: Massimiliano Amoroso